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Quarto stato

Il Quarto Stato (1901), Pellizza da Volpedo

Olio su tela, Milano, Galleria d'Arte Moderna

Mobbing
Dequalificazione  professionale
Mansioni superiori

La parola "mobbing" deriva dall’inglese "to mob", verbo utilizzato nello studio del comportamento degli animali, che definisce un'aggressione diretta contro un soggetto, al fine di isolarlo e danneggiarlo. La definizione giuridica al 1984  ad opera dello studioso svedese Heinz Leymann.
Una definizione “ufficiale” non esiste, tuttavia può essere identificato come un comportamento, tenuto dal datore di lavoro o da altri soggetti presenti nell’ambito del posto di lavoro, che mirano deliberatamente a danneggiare quest'ultimo nella sua personalità o professionalità, attraverso un comportamento sistematico, duraturo, vessatorio o persecutorio.
Il mobbing può essere posto in essere al fine, ad esempio, di condurre il dipendente alle dimissioni forzate, di impedirgli prospettive di carriera, di sollevarlo da incarichi, ecc..
Si realizza, in concreto, (in questo senso la Legge Regione Lazio 16/2002) in pressioni o molestie psicologiche, calunnie sistematiche, maltrattamenti verbali ed offese personali, minacce od atteggiamenti miranti ad intimorire ingiustamente od avvilire, anche in forma velata ed indiretta, critiche immotivate ed atteggiamenti ostili, delegittimazione dell’immagine, anche di fronte a colleghi ed a soggetti estranei all’impresa, ente od amministrazione, esclusione o discriminazione nell'assegnazione dell'attività lavorativa oppure svuotamento delle mansioni, attribuzione di compiti esorbitanti od eccessivi, e comunque idonei a provocare seri disagi in relazione alle condizioni fisiche e psicologiche del lavoratore, attribuzione di compiti dequalificanti in relazione al profilo professionale posseduto, impedimento sistematico ed immotivato all'accesso a notizie ed informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro, marginalizzazione immotivata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e di aggiornamento professionale, esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo nei confronti del lavoratore idonee a produrre danni o seri disagi, atti vessatori correlati alla sfera privata del lavoratore, consistenti in discriminazioni sessuali, di razza, di lingua, politiche e di religione.

Riassumendo, quindi, gli elementi indicativi per configurare una ipotesi di mobbing sono i seguenti:

  1. la sussistenza di una serie di episodi e comportamenti vessatori posti in essere dal datore di lavoro o da altri dipendenti o collaboratori dell’azienda del tipo di quelli sopra detti;
  2. la reiterazione nel tempo di detti episodi;
  3. il verificarsi di una conseguenza dannosa sul lavoratore;
  4. la riconducibilità, nel corso del tempo, a un disegno pressoché unitario, anche se non necessariamente dettato da un unico fine.

La difficoltà per il lavoratore, in questo genere di cause, è ovviamente quella di riuscire a provare i comportamenti “mobbizzanti”, poiché risulta sempre difficile che i colleghi di lavoro (che spesso sono proprio gli artefici del mobbing) confermino davanti al Giudice i fatti qualificati dal lavoratore come mobbing.

Più agevole, per questo motivo, può quindi sicuramente essere la “prova” attraverso documenti (lettere, circolari aziendali, contestazioni disciplinari ecc.) o episodi che non necessitano della prova testimoniale (esclusione da corsi professionali, cambio di mansione, trasferimenti ecc.).

Naturalmente, dovendo il Giudice stabilire un risarcimento economico (qualora rilevi essere avvenuti fatti comportanti mobbing), occorre che il lavoratore abbia subìto un danno alla sua integrità psico-fisica, che potrà essere prospettato attraverso documentazione sanitaria, e dovrà poi essere provato in giudizio, eventualmente anche con una perizia, che potrà indicare, fra l’altro, anche l’entità del danno ai fini della liquidazione, qualora gli elementi acquisiti dal giudice non siano già di per sé sufficienti a tali valutazioni.

Bisogna quindi valutare attentamente se, nel caso specifico, si sia in presenza di mobbing, o invece, ad esempio, di un demansionamento, che può determinare una “dequalificazione professionale”.

Il demansionamento certamente comporta un risarcimento, ma tuttavia di genere, entità e con presupposti diversi. Per esempio, se il demansionamento non è attuato appositamente per danneggiare il dipendente, non possiamo ipotizzare l’esistenza di un mobbing, come anche se gli episodi di molestia non sono sistematici (in tal caso, semmai, si potrà richiedere un danno relativamente al singolo episodio, se di rilevanza giuridica).

Il demansionamento va provato davanti al Giudice con riferimento alle qualifiche come indicate nella classificazione del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, da porsi poste in relazione con le concrete mansioni di fatto e di norma regolarmente svolte da lavoratore.

Allo stesso modo, qualora, al contrario, al dipendente vengano assegnate mansioni superioria quelle previste dalla categoria o dal livello di assunzione, il lavoratore potrà dimostrare, con riferimento alle mansioni effettivamente svolte e al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), le mansioni che invece di fatto svolge, e quindi il suo diritto all’ “inquadramento superiore”.

Cassazione n. 18262/2007: “Il datore di lavoro è obbligato a risarcire al dipendente il danno biologico conseguente a una pratica di mobbing posta in essere dai colleghi di lavoro, ove venga accertato che il superiore gerarchico, pur essendo a conoscenza dei comportamenti scorretti posti in essere da questi ultimi, non si sia attivato per farli cessare”.

Tribunale Milano 29 ottobre 2004: “Per mobbing si intende un comportamento, reiterato nel tempo, da parte di una o più persone, colleghi o superiori della vittima, teso a isolarla e a respingerla dall'ambiente di lavoro, con conseguenze negative dal punto di vista sia psichico sia fisico. In particolare, i comportamenti vessatori devono essersi ripetuti con continuità per un periodo minimo di almeno sei mesi”.

Corte di Cassazione n. 6326/2005: “Il datore di lavoro risponde del danno da mobbing (vale a dire l'aggressione alla sfera psichica del lavoratore) ex art. 2087 c.c., a nulla rilevando che le condotte materiali siano state poste in essere da colleghi pari grado della vittima, in quanto quel che rileva unicamente è che il datore sapesse - ovvero potesse sapere - di quanto stava accadendo”.


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